Cinque cose che forse non sai sui distillati (ma dovresti sapere)

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Distilleria alambicchi

Chi li considera semplicemente “superalcolici” non ha ancora scoperto quanto mondo ci sia dentro un bicchiere di whisky, rum, cognac o grappa. Dietro ogni distillato, famoso o sconosciuto che sia, c’è una storia di ingegno umano, di errori fortunati, di metodi quasi rituali e di territori che parlano attraverso aromi invisibili. E, come spesso accade, più si entra nel dettaglio più si scopre che le verità date per scontate crollano come castelli di ghiaccio al primo sorso ben ponderato.
Ecco quindi cinque cose che difficilmente ti hanno raccontato, ma che cambieranno il modo in cui guardi (e assaggi) i distillati.

1. La distillazione non è nata per fare alcol da bere
Per secoli l’alambicco non è stato lo strumento del buon vivere, ma quello dell’alchimia e della medicina. I primi distillati servivano per estrarre essenze, produrre unguenti, conservare erbe o realizzare elisir terapeutici (non sempre efficaci, ma senza dubbio… energici). Solo molto più tardi qualcuno scoprì che quella sostanza trasparente e infuocata che usciva dalle serpentine poteva essere un piacere, oltre che un rimedio.

2. Non conta quanto invecchia un distillato, ma dove invecchia
È diffusa l’idea che più gli anni sono molti più il distillato sia “buono”. In parte è vero, ma è soltanto metà della storia. A fare la differenza sono il clima, la botte, l’umidità, perfino l’altitudine. Un rum che riposa per cinque anni ai Caraibi subisce un’evoluzione molto più rapida di un whisky che trascorre lo stesso tempo nelle brume scozzesi. E mentre il primo perde una quota enorme di liquido per evaporazione, il secondo scioglie lentamente i segreti del legno.

3. Gli aromi non arrivano solo dalla botte
È facile attribuire ogni profumo al legno: vaniglia? botte. Spezie? botte. Note tostate? sempre botte. In realtà, gran parte della complessità di un distillato nasce prima ancora che l’alcol venga distillato: dalla fermentazione, dal tipo di lievito, dalla materia prima. Il fruttato elegante di un cognac nasce dall’uva, non dalla barrique; l’esplosività aromatica di molti rum deriva dalla melassa, dai tempi di fermentazione e dalla vitalità microbica delle distillerie tropicali.

4. Non tutti i distillati “forti” sono aggressivi
Il grado alcolico è un dato tecnico, non un destino sensoriale. Ci sono distillati imbottigliati a 50% vol. che accarezzano il palato e altri a 40% che sembrano abrasivi. Equilibrio ed eleganza non dipendono dalla potenza, ma dalla qualità della distillazione e da come il produttore seleziona il cuore del distillato, eliminando le parti più dure. La vera forza, insomma, è questione di misura.

5. La miscelazione non è un sacrilegio
L’idea che un grande distillato vada bevuto esclusivamente liscio è recente e un po’ snob. Storicamente, whisky, rum e brandy sono nati per essere miscelati, corretti, trasformati. Il cocktail non è un tradimento: è un’altra strada per scoprire aromi e sfumature che, da soli, a volte restano nascosti. Ci sono distillati straordinari proprio perché progettati per dare il meglio in miscelazione.

Alla fine, la verità è semplice: un distillato non si limita a scaldare la gola. Racconta una cultura, un paesaggio, un’idea. E più lo si ascolta, più ci si accorge che certe storie meritano molto più di un sorso distratto.